Il Piave
Il Piave mormorò: non passa lo straniero."
E' il verso più noto de "La leggenda del Piave", una celebre canzone del 1918 di E.A.Mario, peseudonimo di Ermete Giovanni Gaeta, autore delle parole e della musica.
Un ministro del tempo ebbe a dire che "la Leggenda del Piave giovò alla riscossa nazionale molto più di un generale, e valse a dare nuovo coraggio ai soldati, quanto mai demoralizzati per la ritirata di Caporetto".
Questa canzone fu talmente amata, anche nei decenni succesivi alla grande guerra, che "rischiò" di diventare l'inno nazionale. L'idea fu di De Gasperi, quando l'inno di Mameli era stato adottato come inno provvisorio (e provvisorio è rimasto per 60 anni, solo di recente è stato ufficializzato), il quale propose al compositore di scrivere un inno della Democrazia cristiana, garantendo, in cambio, che avrebbe proposto di adottare "La leggenda del Piave" quale inno nazionale.
Ma il nostro autore, poco disponibile a compromessi e scambi di favori, rispose che lui scriveva solo con il cuore e non su commissione. E non se ne fece niente.
Mi sembra un doveroso atto di omaggio ricordare oggi questa suggestiva canzone ed il suo autore, uno dei più prolifici della storia della musica popolare italiana.
Ma vuole essere anche un omaggio alla memoria di tutti i caduti della grande guerra (furono 600.000).
Potrebbe sembrare retorico, ma ogni tanto non guasta ricordare che c'è stato un tempo in cui i ragazzi non inseguivano falsi miti e il facile successo, non si scambiavano sms, e non c'erano grandi fratelli.
Allora li chiamarono "I ragazzi del '99" ed oggi vengono ricordati giusto da qualche indicazione toponomastica.
Ma loro, niente più che "ragazzi" andarono al fronte e molti di essi ci lasciarono la vita.
In questi altopiani carsici combatterono i nostri nonni e molti non tornarono più a casa.
Alla loro memoria è dedicata questa canzone.
La leggenda del Piave (E.A.Mario)
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera !
Muti passaron quella notte i fanti,
tacere bisognava e andare avanti.
S'udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar de l'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero
il Piave mormorò: Non passa lo straniero !
Ma in una notte triste si parlò di un fosco evento
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento.
Ahi quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto,
poichè il nemico irruppe a Caporetto.
Profughi ovunque dai lontani monti,
venivan a gremir tutti i suoi ponti.
S'udiva allor dalle violate sponde
sommesso e triste il mormorio dell'onde.
Come in un singhiozzo in quell'autunno nero
il Piave mormorò: Ritorna lo straniero !
E ritornò il nemico per l'orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame,
vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora !
No, disse il Piave, no, dissero i fanti,
mai più il nemico faccia un passo avanti !
Si vide il Piave rigonfiar le sponde
e come i fanti combattevan l'onde.
Rosso del sangue del nemico altero,
il Piave comandò: Indietro va, o straniero !
Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento
e la Vittoria sciolse l'ali al vento !
Fu sacro il patto antico e tra le schiere furon visti
risorgere Oberdan, Sauro e Battisti !
Infranse alfin l'italico valore
le forche e l'armi dell'Impiccatore.
Sicure l'Alpi, libere le sponde,
e tacque il Piave, si placaron l'onde.
Sul patrio suolo vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò nè oppressi, nè stranieri.
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